La nostra fiaba natalizia. “Il Natale di Vongola”

Michele non amava il Natale. A quattordici anni, le guance colorate di brufoli e un accenno di barba, non si esaltava più per l’albero pieno di luci, per la frenesia degli acquisti e nemmeno per i regali.

Il Natale per Michele era sempre stato magico per la vacanza dai nonni, nella vecchia casa di pietra fra i boschi dell’Appennino; il ricordo della stufa a legna accesa di rami di salice profumati gli riempì gli occhi di lacrime. Mancava l’abbraccio caldo e tenero della nonna, mancavano le passeggiate sulle foglie scricchiolanti della faggeta insieme al nonno.

Natale faceva schifo ora. 

Nella cittadina in cui viveva con la sua famiglia Michele andava a scuola attraversando le strade illuminate da stelle e fiocchi di neve gialli; guardava sua madre preparare pacchetti e fingeva di ascoltarla quando, per la quarantesima volta, gli chiedeva:

- Che regalo vuoi quest’anno da me e papà?

- Niente.

- Ma Michele, come niente! Non è possibile che tu non voglia niente! Il telefono nuovo? Non so, un videogioco, dei vestiti… Insomma Michele, sei impossibile!

La risposta definitiva era il rumore della porta sbattuta della camera di Michele. Lì la mamma non osava entrare e lui fingeva di studiare per essere lasciato in pace.

 Il 22 dicembre papà disse a Michele che sarebbero andati qualche giorno nella casa dei nonni, in montagna. La mamma sbuffava perché non sopportava quel luogo, così silenzioso, senza vita diceva lei.

Michele e papà la lasciavano parlare; loro due sapevano benissimo che, in realtà, la casa nell’Appennino era viva come nessun posto in città. Il silenzio erano voci di animali, richiami di uccelli, bramiti di cervi e capriole di vento fra i rami.

Al loro arrivo papà accese la stufa e aprì le persiane. L’umore di mamma era nero e quello di Michele era incerto. Amava quel luogo e i suoi ricordi, ma il profumo di legna arsa gli fece bruciare la gola di una tale ondata di nostalgia per i nonni che decise di uscire a fare una passeggiata. 

Il sentiero saliva subito faticoso e gelido, ma il bosco era un abbraccio di suoni e sensazioni: il volo delle cesene e l’attacco veloce dell’astore lo fecero sussultare. Impronte di caprioli e avanzi del pasto di un lupo lo lasciarono senza fiato. Camminò spedito, fino alla casa del vecchio Pietro, l’amico del nonno. Michele voleva salutarlo e dare una carezza a Vongola, il cane che divideva la vita con Pietro, accompagnandolo nei suoi vagabondaggi fra i boschi, alla ricerca di tartufi e funghi.

La piccola baita era chiusa. Vuota e fredda. Era evidente che Pietro non viveva più lì. Era diventato troppo anziano e malato per restare in una casetta isolata fra le montagne. In paese dissero a Michele che la figlia di Pietro lo aveva portato a casa con sé, a Milano, per poterlo accudire e curare.

E Vongola? Dov’era finito Vongola? Anche lui in città con il suo anziano padrone?

 Michele chiese nei pochi negozi del paese se sapessero dove fosse finito Vongola e finalmente una ragazza che lavorava al bar gli disse che, forse, poteva trovarlo al rifugio per cani a qualche km da lì.

Il papà lo accompagnò in auto; venne ad aprire una volontaria, sporca di fango, seguita da una decina di cani di ogni taglia, che abbaiavano senza sosta.

- Vongola? Ah si, il cane del vecchio Pietro. È arrivato quindici giorni fa, la figlia lo ha portato qui perché dice che non ha tempo e spazio per tenerlo… Chissà come sarà disperato Pietro… Sicuramente lo è Vongola. Assaggia il cibo a malapena, non esce dalla cuccia. Povera creatura, ha dodici anni, forse di più, e in un momento ha perso tutto il suo mondo.

Quando Michele vide Vongola, schiacciato nella cuccia, il bel pelo ricciolino opaco e sporco, lo sguardo vuoto, ebbe una stretta talmente forte allo stomaco che rischiò di vomitare.

Lo chiamò.

- Vongola! Sono io piccolo, sono Michele, ti ricordi di me?

Il cagnolino alzò la testa per un attimo e un breve guizzo passò nei suoi occhi rassegnati. Forse lo aveva riconosciuto.

- Papà che dici, mi ha riconosciuto? Che dici?

Michele restò con Vongola tutto quel pomeriggio ed anche il successivo. Gli portò cose buone da mangiare e Vongola si fece convincere a fare anche una piccola passeggiata al guinzaglio. Aveva un amico, un viso che conosceva, che aveva vissuto momenti felici e camminate faticose insieme a lui e al suo amato Pietro.

La Vigilia di Natale Michele e la sua famiglia dovevano tornare in città, nella loro villetta moderna dal giardino pettinato e un po’ asettico.

La mattina caricarono i bagagli e partirono.

Li seguiva, su un’altra auto, la volontaria che li aveva accolti al rifugio con Vongola, pronto ad iniziare una nuova vita insieme a Michele con mamma e papà.

Michele continuò a non amare il Natale, ma se un significato esisteva per quella festa, sicuramente si trovava nel muso felice di Vongola che dormiva sereno accanto al divano.



 Testo di Cristina Nera

Illustrazioni di Erik Varusio

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